Bologna, D’Annunzio ed il Compianto sul Cristo morto.

Bologna mostra la sue bellezze, accese di rosso e coperte dai portici. A volte in un’antica trattoria ed altre in sette chiese antiche. La città sembra volerci parlare del suo splendore il cui coronamento si trova sui colli, sopra una strada che striscia in alto, verso la cima, dove il santuario della Madonna schiaccia un serpente di cemento.

Ricchi particolari portati dall’Oriente come un’icona che sta nel Santuario, fanno di Bologna una città speciale.

Eppure, nascosto, c’è uno dei frammenti più importanti della sua specialità. Un frammento che stupì perfino il Vate, il poeta Armato, proprio quel Gabriele D’Annunzio che passò la sua vita a stupire.

In giovinezza, assieme al padre, entrò in un chiesa per ascoltare un concerto di Musica Sacra.

Il padre era intento all’ascolto e lui si mise a girovagare per le sale , fino  a quando non incontrò qualcosa che lo sconvolse completamente. “Intravidi nell’ombra non so che agitazione impetuosa di dolore. Piuttosto che intravedere, mi sembrò esser percosso da un vento di dolore, da un nembo di sciagura, da uno schianto di passione selvaggia.”

Fu questa la reazione di D’annunzio di fronte al Compianto del Cristo Morto, un’opera forte, estrema, che descrive con minuzia il dolore delle donne di fronte al Corpo morto del Cristo. Il 7 Maggio, nel nostro tour a Bologna, visiteremo la Chiesa di Santa Maria della Vita, ed è lì, a pochi passi da Piazza Maggiore, che rimarremo attenti e coinvolti di fronte ai volti sofferenti.

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La capacità attrattiva di quest’opera è inversamente proporzionale alla sua popolarità, infatti sarà difficile trovare file di fotografi di fronte a quello che, probabilmente è, uno dei gruppi scultorei più belli del 400.

Le statue sono figure in terracotta, in scala reale, che vogliono esprimere, nel modo più potente possibile, i sentimenti di strazio e di dolore, di Maria di Salonne, Maria di Cleofe, di Maddalena e della Madonna. Le facce deformate, gli occhi spalancati, le mani che coprono gli occhi e gli impressionanti drappeggi inseriscono la scena in un contesto carico di pathos.

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Il Vate collaborò con il Corriere della Sera dal 1911 al 1914, dove pubblicò due prose autobiografiche e all’interno di queste inserì il racconto del suo incontro con questa stupenda opera. Se anche una mente folle ed eclettica rimase stupita e sconvolta di fronte a questa opera, pensate di poterla passare liscia?

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