I tabarchini. Le Radici di una comunità del Mediterraneo

Il Mediterraneo non è solo un mare. Il Mediterraneo è stato per tanto tempo una grande piazza dove si sono scontrati e incontrati popoli, dove gli antichi hanno costruito civiltà, dove queste civiltà si sono poi stratificate e hanno dato vita a una ricchezza culturale immensa. Su questo mare si affacciano tre continenti, sono innumerevoli le storie che ne hanno costruito l’identità: una tra queste, che in pochi conoscono, è la storia delle comunità Tabarchine.
A raccontarci la loro storia sarà Marzia Varaldo della Cooperativa sociale Millepiedi onlus di Sant’Antioco che, con il progetto “Ràixe” (Radici in tabarchino), sta facendo un lavoro certosino di recupero e valorizzazione della cultura Tabarchina.

Partiamo dall’inizio. Come nasce questa storia?

La storia del popolo tabarchino nasce nell’anno 1541 quando Genova Pegli, al seguito di Agostino Francesco Nicolò Lomellini un gruppo di liguri, contadini, marinai, pescatori, provenienti dai dintorni di Pegli, Prà, Voltri, Multedo, Val Varenna, aderì alla proposta di una vantaggiosa emigrazione presso le coste africane, sull’isola di Tabarca, per porre le basi di una colonia commerciale per l’utilizzo delle risorse che quella terra poteva offrire. La nuova comunità, cui si aggiunsero nel corso degli anni siciliani, toscani, greci, corsi attratti dalle possibilità di guadagno, visse senza grossi sussulti per circa 200 anni concorrendo a creare ricchezza alla famiglia Lomellini grazie alle fiorenti attività lì esercitate.

Ai primi del ‘700 la florida colonia di Tabarca cominciò a mostrare segni di crisi, non solo per il graduale impoverimento dei banchi di corallo ma anche per l’aumento della popolazione, l’ingerenza francese, le richieste sempre più esose dei Bey di Tunisi e di Algeri dei diritti loro dovuti. A ciò si aggiunse il diminuito interesse dei Lomellini che risentivano dell’avviato declino della Repubblica di Genova, stretta nella morsa delle mire francesi e piemontesi e i mai sopiti aneliti di rivolta del popolo corso. Ad aggravare la situazione il mancato appoggio politico e militare della Spagna che, logorata dalla guerra interna per la successione al trono, rifiutò la restituzione della piccola isola da parte della famiglia genovese. Intorno al 1730 una parte di tabarchini cominciò a migrare spontaneamente verso Genova, Tunisi, Biserta e altre località limitrofe e un gruppo più numeroso, costituito da circa cento famiglie, lasciò Tabarca nei primi mesi dell’anno 1738 per colonizzare, sotto il re sabaudo Carlo Emanuele III, l’isola di San Pietro e fondare Carloforte.

Tre anni dopo, nel 1741, il Bey di Tunisi, insospettito da alcune trattative segrete per la cessione dell’isola ai francesi, con un colpo di mano occupa Tabarca, fa prigionieri i suoi abitanti, saccheggia il paese, occupa il forte e trionfante rientra a Tunisi con un bottino umano di 840 tabarchini. Dopo circa 200 anni cessava di esistere una delle colonie genovesi più importanti del Mediterraneo. Tabarca genovese e cristiana sarà destinata a diventare mussulmana.
Alcuni dei tabarchini presi prigionieri vennero successivamente riscattati dallo stesso re sabaudo: tra il 1751 e il 1755 più di 200 poterono raggiungere la già avviata colonia di Carloforte. L’anno successivo un intervento della Reggenza di Algeri depose e giustiziò il Bey Tunisino a favore del
figlio, imponendo un cospicuo risarcimento comprendente un bottino umano di oltre mille schiavi cristiani, tra cui circa quattrocento tabarchini. 68 famiglie, per un totale di circa 300 persone, dopo dodici anni di schiavitù e grazie all’intervento del re di Spagna Carlo III, raggiunsero la città di Alicante all’inizio del 1769 per poi raggiungere nell’aprile del 1770 la piccola isla Plana di San Pablo, da loro ribattezzata Nueva Tabarca.

Nel settembre del 1770 un gruppo di 38 famiglie tabarchine residenti a Tunisi chiesero ed ottennero dal re di Sardegna di essere trasferite sulla costa settentrionale dell’isola di Sant’Antioco, per fondare una nuova colonia vicino a quella di Carloforte. Dopo un lungo viaggio sull’Ancilla Domini e una quarantena forzata nel porto di Marsiglia, nei primi giorni di settembre raggiunsero finalmente la meta e diedero vita alla nuova colonia di Calasetta.

Esiste un dialetto tabarchino? Da che lingue è formato?

Si esiste il tabarchino che è una lingua parlata dalle comunità di Carloforte e di Calasetta che complessivamente contano circa 10.000 abitanti. Altri tabarchini, stimati in circa 5.000 persone, vivono a Cagliari e in centri limitrofi come Carbonia e Iglesias. Una parte non trascurabile di questi emigrati, inoltre, risiede in Liguria e nel settentrione italiano. Ma qual è la genesi e lo sviluppo di questa lingua? L’origine e l’evoluzione del tabarchino, come per tutte le lingue, non può prescindere dalle vicende storiche, dai rapporti socio-economici e dalle dinamiche demografiche
che hanno caratterizzato i suoi parlanti attraverso i secoli. Il punto di partenza è quindi il genovese che si parlava nel secolo XVI, perché da Genova, o più precisamente da Pegli, intorno al 1540 partirono alcuni nuclei familiari alla volta l’isolotto di Tabarca per praticarvi la pesca del corallo.

I liguri vissero lì per quasi due secoli mantenendo le tradizioni della patria d’origine fra cui la lingua, che inevitabilmente si arricchì di qualche
arabismo e di qualche raro lemma turco, ancora presenti. In base a diverse indagini, risulta che oggi il tabarchino è parlato all’incirca dall’85% della popolazione. Questi dati bastano da soli a testimoniare l’uso spontaneo e corrente della parlata tabarchina nella sua area linguistica, tanto da farne in Italia la lingua minore con il più elevato tasso di parlanti in rapporto alla popolazione. In tabarchino si può per statuto intervenire nelle sedute dei Consigli Comunali di Carloforte e di Calasetta e può anche essere pronunciata la formula del fatidico sì, a dimostrazione di quanto sia ben radicata in queste comunità, istintiva manifestazione delle loro identità.

Il tabarchino non è solamente una lingua parlata ma si avvale di tutti gli strumenti necessari per la sua scrittura, quali una codificazione ortografica, regole grammaticali e di sintassi. Ciò grazie a un’avveduta legge regionale, la n° 26/97 Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua di
Sardegna, la quale riconosce “al tabarchino delle isole del Sulcis” la stessa valenza attribuita alla lingua sarda. In virtù delle opportunità offerte da tale legge, nel 2001 tutte le scuole di Carloforte, sotto la guida del prof. Fiorenzo Toso, esperto di minoranze linguistiche, hanno realizzato un progetto comune che ha portato all’adozione di criteri d’uso scritto validi per tutti. È evidente che una lingua così codificata e utilizzata non ha bisogno di interventi esterni per essere rinvigorita e tramandata. Eppure, nonostante sia riconosciuto come lingua minore dalle leggi regionali sarde, nonostante si avvalga di tutti gli strumenti ortografici e grammaticali per la sua scrittura, nonostante la sua specificità linguistica e culturale sia ampiamente documentata da una vasta letteratura scientifica, il tabarchino è sconosciuto o, meglio, ignorato dalla legislazione nazionale in materia, il cui punto di riferimento è la legge n°482/99, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.

E’ ancora forte il senso di comunità tra i tabarchini?

Sì assolutamente il senso di comunità è forte a Calasetta e a Carloforte ma anche con le alte comunità più lontane (Genova Pegli, la madre patria e Tabarka e Nueva Tabarka) sono tenute unite dal senso della storia e dal legame identitario; inoltre da circa dieci anni tante Associazioni culturali, che hanno a cuore la cultura tabarchina e la sua promozione, lavorano per il riconoscimento dell’EPOPEA del popolo tabarchino presso l’UNESCO, un percorso lungo e faticoso a cui, ora, anche Ràixe vuole dare un suo piccolo contributo.

Perché avete scelto di occuparvi di questa storia?

La motivazione che ci ha mosso per attivare questo percorso di valorizzazione della cultura tabarchina ha ovviamente un intreccio di radici personali e professionali. La finalità principale è stata ed è di valorizzare questa cultura e questa lingua ancora viva, utilizzata e parlata a Calasetta (Isola di Sant’Antioco) e a Carloforte (Isola di San Pietro), il tabarchino, appunto, lingua minoritaria di derivazione genovese.
Inoltre, ci ha appassionato il viaggio che questo popolo di resilienti naviganti, corallari, pescatori, commercianti ha fatto in 250 anni di storia, spostandosi da Genova Pegli (1540 circa) a Tabarka in Tunisia, poi a Carloforte (1738), a Nueva Tabarka (Alicante) e infine ha fondato Calasetta (nel 1770).

Intorno a queste motivazioni c’è anche una forte volontà di dare a Calasetta, a al territorio del Sulcis, alternative possibilità di sviluppo sostenibile, valorizzazione e promozione turistica nazionale e internazionale e per questo abbiamo scritto due progetti e ottenuto due
finanziamenti dalla Regione Sardegna; con un primo, ripeto, abbiamo creato l’archivio digitale per la Cultura Tabarchina Ràixe (radici, in tabarchino) (http://www.raixe.it) e con l’altro progetto
Cul-TURE d’@mare stiamo lavorando alla promozione dello stesso e dello sviluppo territoriale in maniera integrata. (https://coopmillepiedi.it/culture-damare )

Ci racconti qualcosa dei vostri progetto presenti e di quelli futuri

Il presente è occupato sia nella gestione dell’Archivio digitale e piccolo museo Ràixe, aderente alla rete nazionale Associazione Piccoli Musei (https://www.piccolimusei.com/museo/raixe-spazidigitali-per-la-cultura-tabarchina ) e sia nella realizzazione del progetto Cul-TURE d’@MARE che nasce in continuità con il progetto che ha fatto nascere Ràixe, Archivio digitale e Installazione museale Ràixe – Spazi digitali per la cultura tabarchina, sito in Via Umberto 61 a Calasetta (Sud Sardegna). Sito: www.raixe.it L’azione IV del progetto Cul-TURE d’@MARE, è il Festival del 22 e 23 Giugno 2021, in occasione delle Festività di San Giovanni, molto sentita a Calasetta. Sinteticamente l’idea che muove il progetto è triarticolata, nello specifico è di valorizzare, durante
il festival, le suggestioni create dal nome Cul-TURE d’@MARE:

  1. PERCORSO ROSSO della STORIA e della MEMORIA: le Torri (= TURE in tabarchino) di Calasetta e di Carloforte e ovviamente il percorso di valorizzazione della Cultura tabarchina intrapreso con Ràixe;
  2. PERCORSO AZZURRO del VIAGGIO e della SCOPERTA: la Cultura del mare e, quindi, tutto il Mar Mediterraneo su cui essa si fonda;
  3. PERCORSO GIALLO/LUCE della continua conoscenza: la Cultura d’amare che in una dimensione più ampia richiama a sé l’amore per il sapere, il saper fare e il sapere essere di ogni cittadino e persona, specialmente in questo contesto storico (recente pandemia Covid che ha messo in crisi il paradigma globale e materialista attuale); cultura come amore del sapere, della gestione della complessità odierna, delle problematiche legate alla salute, alla sostenibilità ambientale, alimentare, in senso ampio e con una apertura a nuovi paradigmi culturali.
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