Naadir e la luce dell’immortalità – fiaba

Fiaba ideata e scritta da Marika Guerrini / Occiriente

PRIMA PARTE
Tutto ebbe origine in un’epoca ormai lontana, in riva ad un fiume che scorreva nei pressi di un villaggio non molto distante dalle pendici dell’Hindu Kush, le cui cime sono propaggine delle vette più alte del mondo. Lì, un giorno, Azhar il lavandaio, come veniva chiamato per via del suo mestiere, notò galleggiare una cesta di vimini. Incuriosito l’uomo raggiunse a bracciate la cesta, la trascinò a riva e, quale non fu la sua meraviglia nel vedere che la cesta accoglieva, sotto un manto di broccato, il sonno di uno splendido bambino di certo nato da pochi giorni.Fin qui nulla di nuovo, ce ne sono tante di storie che iniziano così, a cominciare da Mosa, per noi Mosè, e tutte narrano di un tesoro che accompagna il bimbo, proprio come in questa storia, a differenza che, nella cesta di questa storia oltre ad un numero alto ed imprecisato di purissimi smeraldi, rubini e una manciata di monete d’oro, vi fosse anche una tavoletta di argilla recante l’iscrizione: – Questo bambino si chiama Jaafar. Chiunque lo trovi ne abbia cura ed avrà in premio la felicità” così diceva.Quando Azhar, che a mala pena sapeva leggere, riuscì a decifrare l’iscrizione, si pose mille domande. Certo tutte quelle monete e quelle pietre preziose avrebbero potuto cambiare la sua vita e quella di sua moglie, ma Azhar non era ambizioso e desiderava un figlio da così lungo tempo che più che dal tesoro fu preso dalla felicità di divenire padre. Quest’avvenimento fu per lui un dono giunto dal cielo. Così, presa la cesta con il bambino si avviò verso casa, lì raccontò a sua moglie l’accaduto e, di comune accordo, decisero di tenere il bambino, avrebbero cresciuto il piccolo Jaafar come fosse loro figlio.Il tempo trascorse, Jaafar a cui, in età di comprensione, era stata raccontata la verità sul suo ritrovamento, amato e rispettato crebbe in bontà e saggezza, finché un giorno espresse il desiderio di conoscere le proprie origini. Certo i suoi genitori, ché tali si sentivano Azhar e sua moglie, non furono risparmiati dal dispiacere, ma lo amavano così tanto che nascosero le lacrime e, con la loro benedizione, lo videro partire. In quel periodo il Paese era entrato in guerra con un regno confinante, il regno dei Rumi, Jaafar raggiunse l’esercito e si arruolò. Con sé, di tutte le ricchezze che aveva e che Azhar e sua moglie avevano per lui custodito, non portò nulla, solo la tavoletta con l’iscrizione e un medaglione di oro e smalto che portava incisi dei segni indecifrabili e che mise al collo. 

Destino volle che, cosa mai prima accaduta, Sua Maestà la Regina, volesse rendersi conto di persona circa l’andamento della guerra. E, destino volle che si recasse proprio lì, al fronte, lì dove era Jaafar. E sempre destino volle che, ispezionando le truppe, scorgesse il medaglione al collo di quel giovane soldato. La felicità della Regina fu immensa nel riconoscere in quel giovane soldato il proprio figlio. Lì per lì non disse nulla, lo fece chiamare in disparte e, se qualche dubbio avesse mai attraversati il proprio cuore, si sarebbe dissolto al racconto del giovane.Da quel momento in poi la vita di Jaafar si trasformò. Tutto fu reso noto e Jaafar fu proclamato re in successione a suo padre ormai vecchio ed infermo, mentre Azhar e sua moglie furono chiamati a corte e lì, accanto a colui che avevano amato come figlio, trascorsero sereni gli ultimi anni della loro vita. Jaafar fu sin dall’inizio un re saggio, coraggioso e molto amato che riuscì a conquistare anche il nemico popolo dei Rumi. Le due dinastie infatti si legarono in un patto di pace con lo sposalizio di Jaafar e la figlia del Re dei Rumi, la principessa Leyla.Dall’unione di Jaafar e  Leyla, nacque un figlio a cui fu dato nome Naadir.Qui ha inizio la nostra storia.Il giovane principe Naadir crebbe negli agi di corte dedicandosi agli studi e agli svaghi, come soleva al tempo. Amava più d’ogni altra cosa la caccia e fu proprio durante una battuta che Naadir si smarrì in un bosco. Vagò e vagò finché giunse ad una misera capanna in cui viveva un acquaiolo. Era costui un uomo molto povero, ma con un grande cuore, così, alla vista del giovane, notato il suo disagio: -Mio signore, ti vedo stanco e provato, io non ho altro da offrirti che acqua di fonte, ma entra e riposati, che tu sia il benvenuto nella mia umile dimora- e, così dicendo s’era fatto da parte per dare passaggio allo straniero.Al tempo infatti re, principi e imperatori erano sconosciuti alla maggior parte dei sudditi e l’acquaiolo non aveva riconosciuto il principe Naadir di cui conosceva solo il nome, tanto meno avrebbe potuto immaginare che un giovane d’alto lignaggio, si celasse dietro abiti strappati e infangati che assomigliavano ad una strana divisa, per lui era solo uno straniero bisognoso di riposo.All’invito, Naadir, senza svelare la propria identità: -Ho una gran sete, rispose, una ciotola d’acqua mi sarà gradita.-L’acqua era così fresca e pura che Naadir volle sapere da dove provenisse: -Da una fonte nel bosco, disse l’acquaiolo e continuò, se vuoi ti ci accompagno-, ma Naadir aveva fretta di riprendere il cammino, così il suo ospite lo accompagnò per qualche passo fuori dall’uscio poi: – Che il Signore del cielo e della terra sia con te straniero e ti accompagni nel tuo cammino- così dicendo rientrò nella capanna.

Non era molto da che Naadir aveva ripreso la via quando, mentre le ombre della sera cominciavano a scendere, sfortuna, o fortuna, volle che il giovane principe si perdesse di nuovo nel fitto bosco. Dopo alcune ore di cammino in un buio che pareva impenetrabile, Naadir scorse una grande casa dall’aspetto confortevole, bussò. Una voce sgarbata dall’interno rispose: – Chi è, io non apro a nessuno!- -Sono un viandante, ho perso la strada di casa e ti chiedo per pietà un pezzo di pane per sfamarmi-. La porta si socchiuse e un vecchio dalla barba ispida ed incolta fece capolino dicendo:- Io non regalo niente ai vagabondi, se dessi un pezzo di pane a tutti quelli che bussano alla mia porta, finirei in miseria, vattene!– Signore, replicò Naadir, da quel che vedo della tua casa, tu hai grandi ricchezze, perché ti rifiuti di aiutare un pover’uomo?-Le mie ricchezze non le divido con nessuno, vattene!-Ma Naadir che di certo non era uno sciocco, decise di saperne di più:- E come le hai accumulate?, chiese-Coloro che non hanno saputo tenere da conto i loro beni ed hanno bisogno di danaro, ricorrono a me ed io mi faccio pagare per questo ed ora vattene!- così rispose il vecchio e, sghignazzando, richiuse sbattendo la porta.Il giovane principe riprese il cammino, vagò e vagò per ore prima di giungere, stanchissimo, a ritrovare la via del ritorno che lo condusse alla reggia. Ma prima di pensare al riposo chiamò le guardie ed ordinò loro: – Andate a casa dell’usuraio che vive in una radura nel bosco, spogliatelo di tutte le sue ricchezze e portatele all’acquaiolo. Voglio punire la grettezza del primo e premiare la generosità del secondo!-Il popolo, venuto a conoscenza dell’avventura occorsa al giovane principe, lodò a lungo la sua saggezza ed il suo senso di giustizia, così, quando giunse il tempo della successione di Naadir al trono di Jaafar che, ormai vecchio e malato si era spento, il popolo volle acclamare il giovane principe Imperatore, e sì, perché nel frattempo il Regno era diventato Impero. Giunse così il giorno dell’incoronazione. Il tripudio del popolo era generale, v’era però un uomo, tra la folla acclamante, un uomo che si dannava logorato dalla rabbia e dall’invidia. Era costui un potente mago che, fattosi avanti tra la folla, con voce possente, rivoltosi ad Naadir: – Come potrai, Principe, disse, dimostrare al tuo popolo d’essere degno, per coraggio e saggezza, il Signore assoluto dell’Impero?- e Naadir: – Se volete delle prove io sono pronto!- rispose. Il mago allora chiamò a raccolta il popolo, sicuro di esercitare paura su di esso, ben sapendo quanto temesse la sua magia che poteva colpire chiunque in qualunque luogo, quindi ordinò di scavare una profonda fossa e farvi entrare due leoni di montagna affamati, poi con passo sicuro si avvicinò al principe e con un gesto fulmineo, gli tolse la corona dal capo gettandola nella fossa, dopo di che: – Principe, riprenditi la corona- disse con scherno.- La prova di coraggio la darò scendendo nella fossa, quella di saggezza la darò subito dopo!- rispose Naadir e scese nella fossa mentre la folla tratteneva il fiato e pregava per l’incolumità del futuro Imperatore, senza però trovare il coraggio di ribellarsi. Giunto che fu Naadir a pochi passi dai leoni, alzò il capo: – Gettate nella fossa quel traditore!- disse indicando il mago poi si chinò a raccogliere la corona mentre i leoni erano lì immobili e grida acclamanti del suo popolo vibravano nell’aria giungendo sin sulle cime delle vette innevate.                                                           

 SECONDA PARTE
Negli anni a seguire, sotto la guida di Naadir, l’Impero raggiunse splendori inimmaginabili. S’ingrandì verso Oriente giungendo sino ai confini d’Occidente. In ogni dove vi fu cultura e benessere. Furono invitati i più grandi studiosi e sapienti del mondo e fu proprio a loro che un giorno l’Imperatore indirizzò un quesito: – Quando un monarca ha raggiunto il massimo della potenza, quando ha realizzato il possibile e l’impossibile per assicurare la felicità ai propri sudditi, quale altra meta gli resta da raggiungere?- Si alzò un giovane sapiente: – La pace dello spirito- disse. – C’è qualcosa di ben più grande- ribatté un vecchio mago egiziano- – Cosa- ribadì Naadir. – L’immortalità- rispose il mago. Il monarca scosse il capo: – l’immortalità è impossibile da raggiungere-.-Niente è impossibile, mio Signore, per chi abbia volontà sufficiente- disse il mago.-E allora dimmi mago, dove potrei trovare l’immortalità?- chiese Naadir.E il mago: – Sulle coste di un mare interno, a nord dell’Impero, si trova il paese delle tenebre. Lì c’è la fonte della vita, chi beve l’acqua di quella fonte diventa immortale. Per raggiungerla occorrono immenso coraggio e immensa astuzia.–Io sono coraggioso, tu sei astuto, mago, quindi verrai con me nel paese delle tenebre-.i due partirono all’alba del giorno seguente, con un piccolo numero di armati. Viaggiarono per giorni e giorni finché giunsero in una vasta pianura che confinava con un deserto salato. In lontananza, verso nord, si intravedevano i picchi dell’Hindu Kush, un po’ oltre, si intuiva più che vedersi, la vetta del Devachan avvolta dalle nubi.Erano ai confini dell’Impero e il mago: – Tra quattro giorni giungeremo sulle rive di un mare freddo, lì vive un popolo che parla una lingua magica, da quella gente, se agiremo con saggezza, avremo le indicazioni utili a raggiungere il nostro scopo, ma guai a rivelare il vero scopo del viaggio, guai a dire che vogliamo giungere alla fonte dell’immortalità, verremmo sterminati!–Seguirò tutti i tuoi consigli, mago- rispose Naadir.

A quel punto il mago indicò un grande masso che si trovava poco distante e disse all’imperatore di percuoterlo con la spada. Naadir obbedì e, dopo qualche attimo: – Spada di Re, che vuoi da me?- il masso chiese.Sorpreso Naadir interrogò con lo sguardo il mago che così sussurrò: – Chiedigli la via per raggiungere il mare delle tenebre- Naadir chiese e il masso: – Dirigiti verso la luce della stella rossa, cammina in quella direzione finché non scomparirà. Poi volgi le spalle al sorgere del sole e prosegui. A notte, quando apparirà la luna, ti troverai in riva al mare delle tenebre, in un paese chiamato Tankbrah. Lì vivono gli uomini dagli occhi di smeraldo, ma attento Re, non chiedere loro di rivelarti il desiderio che vuoi realizzare, fa che siano loro a svelartelo, spontaneamente. Ora chiama la tua scorta e mettetevi in cammino, la stella rossa sta per sorgere!-Nel cielo limpido e luminoso tipico delle notti d’oriente e dei suoi deserti, una splendida stella scarlatta s’alzava, Naadir ed il suo seguito si misero in cammino . Camminarono a lungo seguendo i consigli del masso, finché il mago: – Maestà, stiamo per giungere a Tankbrah, raccomanda ai tuoi uomini di restare in assoluto silenzio, di non parlare per alcun motivo.-Malgrado il suo coraggio il giovane Imperatore si sentiva invaso da una strana sensazione, non sapeva darle nome, ma si fece forza e ancora una volta obbedì. Da quel momento in poi avrebbero potuto esprimersi solo a gesti.Quando la luna fu alta nel cielo si udì un cupo suono, proveniva dal frangersi del mare sulla scogliera. Non si vedeva nulla, persino il chiarore della luna non illuminava quella strana terra, il chiarore restava sospeso a mezz’aria, misteriosamente. Erano giunti.Non scorgendo alcunché Naadir si stava chiedendo come avrebbero potuto proseguire, quando migliaia di piccole luci simili a lucciole che volano sui campi nelle notti d’estate, apparvero in lontananza danzando nell’ombra mentre lentamente si avvicinavano.- Stanno arrivando gli uomini dagli occhi di smeraldo, si vedono le loro pupille- sussurrò il mago.Naadir seguiva la scena in silenzio quando un leggero chiarore si diffuse tutt’intorno, gli uomini dagli occhi di smeraldo si stavano avvicinando, era vero. Pian piano Nadir ed il suo seguito presero a distinguere vaghi contorni di figure umane alte e selle, dal colorito nero come la notte, così come i loro abiti.- Che strano paese è mai questo in cui la notte avvolge uomini e cose!- esclamò Naadir.In risposta alle sue parole si alzò una voce profonda: – Straniero, per quale motivo ti sei spinto fino a noi?- – Cerco l’oblio- rispose Naadir.- Bene, qui lo troverai. Seguici!- Presero ad avanzare sulla costa, a lungo, mentre il mare faceva udire il suo frangersi sugli scogli. poi dopo molto cammino giunsero in un luogo in cui si intuiva, più che vedere, l’esistenza di case e palazzi, mentre Naadir, oppresso dall’oscurità, aguzzava la vista vivendo un forte disagio per via di quelle verdi lucenti pupille che si muovevano intorno a lui ed al suo seguito. 

Poi il giovane Imperatore cominciò a chiedersi se non avesse osato troppo, perché non si fosse accontentato degli onori e delle ricchezze che possedeva. Ed ancor più perché avesse desiderato l’immortalità. Ma nulla fece trapelare, restò indifferente per dignità e regalità. Poi pensò che voleva saperne di più e rivoltosi a colui che gli camminava accanto: – E’ una grande fortuna vivere in un luogo dove non si possono vedere le brutture del mondo!- disse.- Le cose belle bisogna saperle scorgere- fu la risposta.- Giusto, ma bisognerebbe avere occhi meravigliosi come i vostri, capaci di attraversare le tenebre, vincerle.– E’ questo che desideri, straniero?–Sì, è questo che desidero.–E sia!- ribatté la voce. In quello stesso istante, come se mille soli si fossero accesi contemporaneamente, agli occhi di Naadir si mostrò un paesaggio straordinario: immensi palazzi, case, strade, giardini fioriti d’ogni fiore d’ogni stagione, immense bellezze ma, tutto incredibilmente nero! irrimediabilmente nero. Nero d’ogni sfumatura, d’ogni genere: cupo, brillante, opaco, ma sempre e comunque nero!A tale vista Naadir cadde in ginocchio esclamando: -Sia lode a Dio per questo dono meraviglioso! I miei occhi possono vedere quel che mai creatura umana abbia mai visto-, poi si voltò verso la figura che lo accompagnava, che sorridendo ora lo guardava. il suo aspetto era solenne, maestoso. – Sono Yazdegard, e tu, uomo della luce, chi sei?- – Sono qualcuno che vuol dimenticare ciò che è stato fino a questo momento- rispose Naadir. – Bene, che tu sia il benvenuto nel mio regno- rispose Yazdegard.E fu così che il sovrano delle tenebre accolse un altro re senza sapere chi fosse.Naadir non lo sapeva, ma lentamente il “meraviglioso” buio che gli stava intorno, stava entrando in lui.       

                                                                                       
TERZA PARTE

Notti seguirono e precedettero notti, senza interruzione e, mentre Yazdegard faceva da guida a Naadir alla scoperta di quel suo Regno meraviglioso e terrifico, il mago egiziano e gli uomini del seguito erano fermi nel luogo in cui erano giunti al momento del benvenuto, lì, immersi nelle tenebre, dormivano.In una di quelle eterni notti Yazdegard e Naadir, giunsero in un luogo in cui il silenzio era così assoluto da permettere di udire il flebile suono del respiro. Naadir a quest’ulteriore manifestazione di quel mondo chiese come mai il silenzio fosse così assoluto: – Qui si devono udire solo i pensieri- fu la risposta di Yazdegard e continuò: – Vedi laggiù quella sorgente d’acqua nera che sgorga senza il minimo fruscio?… è la fonte della vita.-A quelle parole Naadir a stento riuscì a soffocare un grido di trionfo, poi soffocò anche il pensiero di esso, altrimenti si sarebbe svelato e, si sarebbe perduto, pur non sapendo fino a che punto. Così, con voce indifferente e senza pensieri, chiese: – La fonte della vita? Cos’è?– Devi sapere che chi beve la sua acqua diventa immortale- spiegò Yazdegard.- Io penso che vivere eternamente sia un ben triste destino- finse, o credette di fingere, Naadir e continuò: – Chi mai potrebbe desiderare una cosa simile, a me interessa solo l’oblio!– Ti sbagli, chi beve a quella fonte è padrone di tutto, anche dell’oblio- replicò Yazdegard. 

Naadir rimase impassibile ed anche i suoi pensieri continuarono a tacere nella mente, lui non pensava più, credeva di volere questa cosa, ma non era così, se pur l’intelligenza non l’avesse abbandonato. Da questa indifferenza Yazdegard fu molto colpito, tanto che, cosa insolita per lui. – Bevi, disse, prova a bere, non ti interessa scoprire cosa significhi essere immortali, poter ottenere tutto quel che è sottile, nascosto agli uomini, anche l’oblio? Non è forse per questo che sei venuto fin qui?– Sì, è per questo, per l’oblio- poi unendo le mani a mo’ di coppa si chinò e bevve l’acqua della fonte. L’acqua era gelida avrebbe dovuto rinfrescare, eppure attraversava la gola scendendo come fosse fuoco. Bevve ancora e ancora poi si rialzò e, inchinatosi al Signore delle tenebre: – Ti ringrazio per ciò che mi hai concesso, se riuscirò ad ottenere l’oblio te ne sarò eternamente grato- così si espresse.-Ora sei immortale come me, straniero, sappi farne uso – disse Yazdegard.Nell’impressionante silenzio del luogo si incamminarono verso la capitale del Regno. I loro passi risuonavano cupi, ma Naadir non udiva che se stesso.Trascorsero notti e notti da quel momento, un lungo tempo in cui Naadir dimenticò ogni pensiero, ogni affanno, ogni responsabilità. Si trovava bene lì, ne era convinto, stava bene in quel paese in cui tutto scorreva, tutto si faceva da sé. Dimenticò tutto anche i suoi uomini, la loro fedeltà, il loro amore e fu per caso, o forse per destino che in una di quelle notti fatte di buia tenebra, si trovò a passare loro accanto. Fu allora che li vide. Li vide dormire tutti, anche il mago e fu allora che come un barlume, un leggero ricordo, un’ombra sottile, s’affacciò in lui . Naadir seguì il barlume, si avvicinò loro, provò a svegliarli, provò e riprovò, finche non vi riuscì. E fu allora, al racconto che seguì il risveglio, allora Naadir, riprese se pur vago, il ricordo della propria vita, allora decise di partire benché tutto gli apparisse come sogno. Raccomandati i suoi uomini alle cure del mago, Naadir si recò da Yazdegard, comunicò la decisione poi con lui, tornato dai suoi uomini, s’incamminò. Yazdegard  li accompagnò ai confini del mondo delle tenebre, lì dove inizia a fondersi con quello della luce. Luogo in cui non era mai né notte né giorno, né crepuscolo né aurora. Un mondo di mezzo. – Addio straniero e che l’immortale sorte ti sia propizia- lo salutò Yazdegard scomparendo.
Quando furono soli e man mano che la luce si faceva sempre più chiara, tutto il seguito esplose in grida di gioia, tutti  si fecero intorno al loro sovrano urlando: ce l’hai fatta grande Naadir! Ma Naadir non riusciva a gioire, guardava i suoi uomini, essi sembravano non vedere, camminavano, gioivano come fossero automi, come fossero bambini ciechi che mai hanno visto il mondo e camminano per inerzia: i suoi uomini non vedevano! Prese a cavalcare innanzi a loro come se loro non ci fossero, come fosse solo. Li sentiva avanzare sì, ma a tentoni e la cosa più terribile era che essi non sapessero d’esser ciechi.

Lui invece sapeva, ora sapeva, con i suoi occhi di smeraldo vedeva cose che altri uomini non vedevano, che nessun uomo era mai riuscito a vedere: attraverso le pietre e l’acqua, attraverso la sabbia e poi lontano, oltre il deserto e i monti, oltre il cuore di tutte le cose, giù, giù, fino al cuore del mondo. Senza più veli, senza mistero… senza pietà. Una sensazione meravigliosa e terribile.Preso da questa condizione si voltò, vide i suoi uomini, in loro vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: il loro sacrificio per la sua immortalità.Disperato Naadir tornò indietro, non sapeva cosa fare, come aiutarli, non poteva far nulla, solo vedere, vedere, vedere. Li guidò e guidò lungo la via del ritorno a casa. Loro cadevano e lui li rialzava. Loro piangevano e lui li consolava. Giunse così, con loro in quello stato, al masso, lo stesso masso dell’inizio, il masso che aveva percosso con la spada. Lo fece di nuovo, lo percosse e percosse finché il masso: -Spada di Re che vuoi da me?- chiese. – Voglio che i miei uomini riacquistino la vista- disse. -Questo non è possibile, ora tu sei immortale, non è questo che volevi?- disse il masso e continuò:- Non c’è più nulla che tu possa ottenere più di quello che hai già ottenuto.-Naadir non seppe cosa rispondere, poi con il cuore gonfio di dolore e tristezza: – Non posso accettare una simile cosa, dimmi cosa posso fare ed io lo farò– Anche se si tratta di rinunciare all’immortalità-Naadir di nuovo non sapeva cosa rispondere, ancora dolore, ancora un’infinita tristezza e una domanda a se stesso: come fare a rinunciare ad un dono che lo rendeva simile agli dei, per cui aveva tanto rischiato, sperato, vissuto, poi il cuore parlò in lui e diede la risposta: – Sì, anche se si tratta di rinunciare all’immortalità-Fu un istante, la figura di Naadir fu avvolta da una luce violentissima, tanto violenta da far male, nuovamente udì un infinito silenzio, il proprio respiro, poi lo sguardo volse alle cose del mondo, giù, giù, fino alla profondità. Le vide, tutte, vide tutte le cose del mondo in un solo sguardo. Esse si mostrarono ancora una volta ai suoi occhi di smeraldo, poi, di colpo tutto cessò. Gli occhi ripresero il colore di un tempo. Il cuore riprese a pulsare come un tempo.In quello stesso istante dai suoi uomini si levarono grida di giubilo, s’erano accorti della loro cecità durata un tempo sin troppo lungo, ma ora vedevano, ora vedevano.Al tripudio di quelle voci qualcosa accadde nel cuore di Naadir e una voce  da esso si levò sopra ogni altra: – Sei rinato grande Naadir, alla tua stessa vita e a quelle che verranno. Le genti future parleranno di te. La sacralità del tuo sacrificio per amore sarà da loro riconosciuto,  saranno loro a darti la vera immortalità- Naadir sentì, come giunto dalle nuvole, il calore di un’immensa luce illuminargli il cuore, come d’un astro inviato da potenze celesti quale divino manifestarsi di spazi cosmici,  manifestarsi a portare  luce, a portare pace rassicurante l’anima umana che fosse colma di buona volontà”.  Sulla luce-pace di Naadir chiude la fiaba di quest’insolito Natale. 


Marika Guerrini

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