Ossari e cripte d’Italia

di Marco Valerio Solia

«Un tempo si faceva l’amore in privato e si moriva in pubblico. Oggi si verifica il contrario: bella rivincita di Eros su Thanatos» ha scritto Dominique Fernandez.

Il tema della morte suscita inevitabilmente reazioni contrastanti. C’è chi vorrebbe relegarla il più possibile nella sfera privata e quanti, invece, la considerano portatrice di significato, stimolo alla vita e annichilimento dell’effimero. Il nostro Paese, scrigno inesauribile di tesori, presenta luoghi d’indiscutibile fascino, con ossari, cimiteri e cripte che mostrano al visitatore la caducità della condizione umana e lo spronano a dedicare la propria esistenza a vette più alte. Senza pretesa di esaustività, mostreremo alcuni dei siti più significativi del Belpaese: da Roma a Milano, da Palermo a Napoli numerosi sono i luoghi che hanno nell’esposizione e nell’esaltazione della morte il proprio minimo comune denominatore. Buon viaggio, dunque: come gli eroi e i poeti del passato scendiamo agli Inferi per conoscere il nostro destino.

Cripta dei Cappuccini di via Veneto, Roma

Secondo una delle numerose leggende riguardanti la Cripta dei Cappuccini di via Veneto, a realizzare le composizioni artistiche con ossa umane e scheletri sarebbero stati alcuni frati fuggiti dalla Francia durante il periodo del Terrore. In realtà, pochi anni prima della Rivoluzione francese, già il marchese De Sade aveva fatto riferimento a questo luogo straordinario. Nel Viaggio in Italia, l’aristocratico transalpino raccontava quanto aveva visto e sentito nel 1775 circa la cripta: «Un sacerdote tedesco di questa casa ha eseguito un monumento funebre degno di un ingegno inglese. Ha formato in sei o sette piccole stanzette, una vicina all’altra, alcune nicchie, delle volte, qualche ornamento di soffitto con disegni regolari e piacevoli, lampade, croci, ecc., il tutto eseguito con ossa e teschi». De Sade stesso, che non doveva certo difettare di pelo sullo stomaco, poteva dire di non aver «mai visto nulla di più impressionante». Come ricostruito dallo storico cappuccino Rinaldo Cordovani, nel 1732 non erano presenti ancora tracce di composizioni artistiche all’interno della cripta. L’opera, dunque, sarebbe stata realizzata tra quella data ed il resoconto di De Sade. Il luogo, ovviamente, non era casuale: sopra la cripta vi è la Chiesa dell’Immacolata Concezione (la prima dedicatagli a Roma), completata nel 1631, dove i cappuccini si erano spostati dalla Chiesa di San Bonaventura (oggi Santa Croce e Santa Bonaventura), sul Quirinale. La cripta contiene i resti di circa 3.700 defunti dalla fine del XVI secolo (molte salme furono infatti traslate dal Quirinale) al 1870 (riposano qui alcuni zuavi pontifici morti durante la presa di Porta Pia).

Cimitero delle Fontanelle, Napoli

Uno dei luoghi più suggestivi di Napoli, il caratteristico Cimitero delle Fontanelle, ha un nome che potrebbe ingannare. Esso, infatti, non trae origine da fonti idilliache, bensì da colate di acqua fangosa e pietrosa che inondavano il territorio circostante, permettendo allo stesso tempo l’estrazione del tufo. Da qui la presenza di numerose cave, le quali, una volta abbandonate, vennero utilizzate come luoghi di sepoltura per i defunti. Nonostante la zona fosse caratterizzata dalla presenza di necropoli già nell’antichità, la storia del Cimitero delle Fontanelle si può far partire dal XVII secolo, accompagnando la città in alcune delle sue pagine più drammatiche, come l’epidemia di peste del 1656 e quella di colera del 1836-1837, nel corso delle quali furono sepolte in questa zona centinaia di migliaia di salme. Dopo qualche decennio di abbandono, si procedette nel 1872 ad un’opera di riordino delle ossa, promossa dall’allora parroco di Materdei Gaetano Barbati. In tempi più recenti, alcune forme di devozione popolare praticate nel Cimitero delle Fontanelle finirono nel mirino della Chiesa post-conciliare (come è noto, infatti, si è qui sviluppata una particolare venerazione per alcuni teschi, “adottati” dai napoletani con offerte e doni in cambio di favori dall’Aldilà). Alla fine, tuttavia, l’amore per la cultura e la memoria storica è riuscito a prevalere, con il Cimitero delle Fontanelle che è aperto al pubblico da ormai un decennio.

Le Catacombe dei Cappuccini, Palermo

A Gaston Vuillier, durante una visita alla fine dell’Ottocento, era sembrato che uno dei teschi conservato nelle catacombe si fosse mosso. Lo scrittore e pittore francese rimase profondamente colpito dall’evento: «vivono dunque questi morti? Essi vivono di una vita della morte, che non si potrebbe comprendere, né immaginare da chi non l’ha vista qui!». La città che conserva ilTrionfo della Morte, l’affascinante affresco oggi a Palazzo Abatellis, offre infatti uno dei luoghi più famosi a livello mondiale per quanto riguarda l’esposizione della caducità umana. Le Catacombe dei Cappuccini, situate sotto il Convento di Santa Maria della Pace, conservano i resti di defunti nell’arco temporale 1599-1880 (data in cui venne decretata la dismissione del sito quale luogo di sepoltura, senza che però ciò impedisse in alcuni rari casi di continuare a depositarvi dei corpi). Tutte le salme (che, come si è appena visto, non appartengono esclusivamente ai frati) sono divise a seconda della condizione religiosa (laica o ecclesiale), del sesso, dell’età (con una parte riservata ai bambini) e, in alcuni casi, della professione, nonché vestite con indumenti di pregio, a dimostrazione della vacuità delle cose terrene. Alcuni corpi sono imbalsamati, mentre in altre circostanze ad essere esposto è semplicemente lo scheletro o parte di esso. Come recentemente ricostruito da Dario Piombino-Mascali, già intorno agli anni ’30 del Settecento il luogo doveva apparire molto simile a come è oggi, mentre gli ultimi interventi strutturali furono apportati nel 1823. Pur non essendo l’unico esempio riscontrabile in Sicilia, quello di Palermo rappresenta certamente uno dei luoghi più imponenti nel suo genere.

San Bernardino alle Ossa, Milano

Accanto alla basilica di Santo Stefano Maggiore, celebre, tra i tanti motivi, per essere il luogo dell’uccisione di Galeazzo Maria Sforza (1476) e del battesimo del Caravaggio (1571), si erge la piccola ma affascinante chiesa di San Bernardino alle Ossa, conosciuta anche come San Bernardino ai Morti. La leggenda ha attribuito i resti con cui sono adornate le pareti della cappella-ossario ai milanesi uccisi dagli eretici ariani nel IV secolo. In realtà, fu solo a partire dal XIII secolo che si iniziò a traslare qui i resti del vicino cimitero medievale di Santo Stefano. Le composizioni artistiche con le ossa risalgono invece al XVII secolo, quando vennero utilizzate sia le ossa medievali che quelle contemporanee, con lo straordinario effetto che possiamo ammirare ancora oggi. Sulla volta della cappella-ossario vi è l’affresco Trionfo di anime in volo di angeli, realizzato nel 1695 da Sebastiano Ricci, che rimarca il contrasto tra la fugacità dell’esistenza umana e la vita eterna.

Confraternita dei Sacconi Rossi, Isola Tiberina, Roma

La “Veneranda Confraternita delli divoti di Gesù Cristo al Calvario e di Maria Santissima Addolorata”, i cui membri erano detti dei “Sacconi Rossi”, aveva tra i propri compiti quello di raccogliere i corpi degli annegati nel Tevere. I Sacconi Rossi ebbero la propria sede presso la chiesa di San Bartolomeo all’Isola, sull’Isola Tiberina, a partire dal 1768. Essa iniziò nel 1784 la realizzazione del cimitero sotterraneo, svolgendo la propria attività di sepoltura (anche) degli annegati fino al 1836. In quell’anno, infatti, l’epidemia di colera spinse il papa, Gregorio XVI, ad ordinare che le sepolture avvenissero solamente presso il Cimitero del Verano. Pur non presentando le composizioni artistiche di molti degli ossari che abbiamo incontrato, il cimitero sotterraneo dei Sacconi Rossi rappresenta certamente un luogo altamente suggestivo, evidenziando un rapporto con la morte che a Roma, capitale del cristianesimo, non può che ricoprire un posto centrale.

Santa Maria dell’Orazione e Morte, Roma

Un’altra chiesa a Roma è famosa per aver raccolto e sepolto le salme degli annegati nel Tevere (oltre a quelle rinvenute nella campagna romana). Si tratta della chiesa dell’Orazione e Morte di via Giulia, il cui annesso cimitero è stato realizzato dalla Confraternita di Santa Maria dell’Orazione e Morte. Sin dalla fondazione della confraternita, nel 1500, uno dei suoi compiti principali era quello di raccogliere e dare degna sepoltura ai poveri. La chiesa fu consacrata nel 1576 ma venne demolita nella prima metà del Settecento. Nello stesso luogo venne consacrata un’altra chiesa nel 1737. Purtroppo buona parte del cimitero è stato distrutto con la realizzazione, negli anni successivi alla breccia di Porta Pia, dei muraglioni del Tevere, eretti per contrastare le ricorrenti e dannosissime inondazioni che colpivano la Città Eterna. Ancora oggi, tuttavia, si possono vedere lampadari, una croce ed un’acquasantiera composte o adornate con ossa e scheletri.

Chiesa delle Santissime Stimmate di San Francesco, Roma

Goffredo Mameli, morto nel 1849 alla Trinità dei Pellegrini, venne provvisoriamente sepolto nella chiesa delle Stimmate, a Largo Argentina, dove sarebbe rimasto fino al 1872, quando fu traslato al Verano. L’origine esatta dell’ossario e della cappella che compongono il cimitero sotterraneo non è conosciuta ma è presumibile che esso risalga al XVII secolo. L’edificio attuale è del 1714, sorto però sulla precedente chiesa dei Santi Quaranta Martiri, risalente a fine Duecento e dal 1597 affidata alla Confraternita delle Stimmate. Anche in questo caso sono presenti decorazioni con ossa umane, che decorano la volta e le pareti.

Cappella dei Martiri, Cattedrale di Otranto

In uno dei periodi di massima espansione dell’Impero Ottomano, la città salentina fu attaccata dai turchi, i quali riuscirono ad avere ragione degli assediati l’11 agosto del 1480, dopo due settimane di accanita resistenza. Proprio di fronte alla Cattedrale di Otranto (che sarebbe poi stata profanata dai musulmani) avvenne un ultimo disperato tentativo di fronteggiare gli invasori, con gli abitanti che andarono però incontro alla definitiva disfatta. Le donne e i bambini furono ridotti in schiavitù. Gli uomini sopravvissuti con più di 15 anni di età, oltre 800, vennero invece condotti sul Colle della Minerva (dove in seguito sorse una chiesa a loro dedicata) e, dopo essersi rifiutati di abbandonare il cristianesimo, furono uccisi (la maggior parte per decapitazione). Il primo di loro si chiamava Antonio Primaldo. Gli aragonesi riuscirono a riprendere la città l’anno successivo. Le reliquie dei “Martiri di Otranto” hanno conosciuto diverse destinazioni. Quelle conservate nella Cattedrale della città (la cui traslazione iniziò già nell’ottobre 1481) presentano tuttavia un fascino particolare, vegliate da una statua della Madonna risalente al Trecento, trafugata dai Turchi durante l’invasione e successivamente recuperata dai cristiani.

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