San Francesco «alla presenza del Soldan superbo»

di Angelo Iacovella

«I musulmani sono paglia creata da Dio per essere destinata a bruciare eternamente all’inferno!». Con queste parole, non proprio «concilianti», papa Urbano II apriva i lavori del Concilio di Clermont del 1093. Un secolo più tardi, San Francesco d’Assisi, in linea con lo spirito del Vangelo, demoliva, uno dopo l’altro, gli stereotipi anti-arabi e anti-musulmani abbracciati dalla chiesa del tempo. Intenzionato, sin dagli albori della sua vocazione, a predicare la buona novella, Francesco tentò più volte di raggiungere l’Oriente e la Terrasanta. La prima nel 1212, quando fu costretto a riparare in Dalmazia. La seconda, quando cercò – inutilmente – di veleggiare alla volta del Marocco. Infine, nel 1219, anno in cui riuscì di mettere piede in Egitto, nel pieno fervore delle Crociate.


Accompagnato da fra’ Illuminato, che si era già recato tra gli arabi e ne masticava, a quanto pare, la lingua, San Francesco giunse al campo di Damietta in piena estate, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. I crociati tenevano d’assedio la città da dodici lunghi mesi e nulla faceva presagire che la situazione, militarmente parlando, si sarebbe sbloccata in breve tempo. Fu allora che il Sultano ayyûbide al-Mâlik al-Kâmil, nipote del Saladino, offrì la pace all’esercito cristiano, dichiarandosi disponibile, qualora i «franchi» avessero lasciato il suolo d’Egitto, a restituire loro, senza altro colpo ferire, la città di Gerusalemme e la reliquia della santa croce. Alcuni capi crociati, non ultimo il re Giovanni di Brienne, erano sul punto di accettare la proposta musulmana, quando il legato papale Pelagio, convinto che quella guerra dovesse servire, in prospettiva, più all’estirpazione dell’eresia maomettana, che alla riconquista dei luoghi santi, si oppose a qualsiasi trattativa. Ne seguì una furiosa battaglia e la successiva sconfitta crociata del 29 luglio 1219, in cui si registrarono più di seimila caduti.


Al termine della sanguinosa disfatta, Francesco ottenne da Pelagio l’autorizzazione a recarsi alla corte del Sultano, il quale aveva fama di uomo dotto e interessato alle discussioni scientifiche e religiose. Prima di arrivare al suo cospetto, i due fraticelli dovettero subire non poche vessazioni per mano della soldataglia araba, rivolgendosi alla quale, mentre veniva percosso e dileggiato, Francesco gridava «Soldan, Soldan!».
Al-Mâlik al-Kâmil ricevette Francesco e, a differenza dei suoi soldati, come raccontano le fonti più imparziali, lo trattò con molto rispetto, ravvisando in lui i tratti inconfondibili dell’asceta. Francesco fu invitato a discettare pubblicamente, con i sapienti arabi di turno, su scottanti questioni di fede. Il futuro santo colse la palla al balzo per mettere in rilievo che la sua missione trascendeva le vicende, pur dolorosissime, della Quinta Crociata; e che egli veniva in pace presso i suoi fratelli musulmani per attestare in tal modo «l’amore di Dio» verso  gli uomini tutti, senza distinzione di casacca o di religione.


La visita di Francesco a Damietta restò impressa nell’immaginario cristiano-occidentale come prototipo di una praticabile via di dialogo alternativa alla guerra. Anche nella memoria dei musulmani si serbò traccia dell’incontro, se è vero che sul cippo funerario di Fakhr al-Dîn Muhammad al-Fârisî – l’allora «direttore spirituale» del sultano – si fa menzione della visita di  un «monaco cinto da un cordone», che, venuto da lontano, voleva soltanto testimoniare Cristo e  non convincere alcuno…

(estratto dal volume: 101 storie sull’Islam , Newton-Compton Editore)

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